Intervista ad Alessandra Giubilato

Alessandra Giubilato

Alessandra Giubilato è una cantautrice sempre attenta ai temi di importanza sociale come la violenza domestica o le spose bambine. Nelle sue canzoni si occupa anche di dare rilievo a figure importanti del mondo femminile come Alda Merini o Kiki de Montparnasse.

In questa chiacchierata abbiamo parlato del suo incontro con il pianista milanese Sabino dell’Aspro, dei suoi album La rosa del deserto e La poesia di una donna, dei suoi progetti futuri e di molto altro!


Ciao e benvenuta! Dove hai trovato la forza di iniziare a seguire il tuo sogno nel mondo della musica dopo aver concluso il tuo percorso universitario?

Non ho avuto bisogno di trovare la forza di inseguire il mio sogno, era un bisogno che dovevo assolutamente colmare. Che fosse la recitazione o che fosse la musica, sentivo una forte necessità di fare arte, perché da anni ormai non mi sentivo a mio agio in quello che facevo. Prima mi sono laureata in lingue, poi in marketing e comunicazione, ma sempre con la forte sensazione di non essere “al mio posto”, non nutrivo alcun tipo di aspirazione verso quelle direzioni, semmai perseguivo il mio senso del dovere e di responsabilità. Nei miei piani il percorso avrebbe dovuto essere molto più breve, quello sì, ma con la produzione dei miei primi brani non ho più avuto il coraggio di smettere. A volte mi maledico e mi chiedo perché non potessi nascere con la passione, che ne so, della medicina; invece no. Grande disgrazia nascere artisti negli anni bui dell’arte.

Fondamentale per la tua carriera è l’incontro con il pianista milanese Sabino dell’Aspro. Come vi siete conosciuti?

Era passata solo una settimana dalla mia laurea e la mia agenda era già fitta di appuntamenti volti a definire i miei progetti artistici. Mi trovavo a Bologna quando ricevetti la chiamata di un musicista: il locale nel quale suonava, in Svizzera, aveva bisogno di hostess e ragazze immagine e aveva saputo da suo figlio (all’epoca PR) che spesso, per sostenere gli studi, lavoravo in discoteca. Anche se controvoglia, ci incontrammo per discuterne in un bar della mia città. Con qualche remora dovuta alla mia riservatezza, ancor prima di parlare di un possibile lavoro, gli dissi che ogni tanto, in quel locale, ci avevo cantato.  All’interno della sala c’era un pianoforte a coda, così mi chiese di fargli ascoltare qualcosa.

Cantai (male, a tratti malissimo) 3 canzoni. Il locale non era vuoto e per me affrontare il pubblico è sempre stata una difficoltà (da piccola cantavo solo dietro le tende!). A distanza di anni Sabino Dell’Aspro sorride ancora al pensiero della mia performance e di come, nonostante la mia inesperienza e la mia timidezza, sia riuscito ad intravedere nella mia voce la capacità di arrivare alla pelle di chi ascolta. Credo che a quell’epoca nessuno avrebbe scommesso 10 centesimi su di me.

Dopo 6 anni posso dire di avere accumulato un’enorme esperienza all’interno di ogni situazione musicale, dal piano bar al teatro. Soprattutto, però, senza la presenza di Sabino i brani non sarebbero quello che invece sono, perché non credo che qualcun altro avrebbe capito davvero quello che rappresenta per me la musica. Quel giorno ho avuto l’enorme fortuna di conoscere un musicista di spessore come ce ne sono pochi (me ne rendo sempre più conto!), ma anche un amico con la mia stessa sensibilità musicale.

PS: Alla fine in Svizzera ci andai, sì, ma per cantare!

La tua musica è libera da schemi, ma sente dell’influenze classiche, folk, jazz e bossa nova. Come unisci questi generi per creare il tuo stile musicale personale?

Io credo che l’arte, prima di tutto, debba essere SINCERA e che per essere tale, quindi, debba nascere dall’anima. Non può essere creata con schemi preconfezionati atti a strategie di vendita. Quello è marketing, non arte. Se l’arte ci nasce da dentro, poi, come possiamo scrivere sempre allo stesso modo, come possiamo sentirci sempre alla stessa maniera? Com’è possibile non evolvere mai?

Io, semplicemente, scrivo quello che sento e, insieme a Sabino, vesto i brani con il mood naturale con il quale nascono; non lo comando mica io! Sorrido quando qualcuno mi dice che dovrei andare verso una direzione e concentrarmi solo su quella. Io rispondo sempre che se avessi voluto fare marketing avrei semplicemente seguito una strada già scritta; forse molti artisti dovrebbero chiedersi se amano davvero la musica o se, piuttosto, amano la fama. Io forse alla fama ho scelto la fame, ma nulla paga la soddisfazione di aver scritto delle canzoni che mi rendono fiera di me stessa.

In ogni caso, che all’interno di un brano ci siano dei violini o che ci sia un sax, la mia voce rimane sempre la stessa e credo che questo vada considerato un grande fattore uniformante di riconoscimento.

Alessandra Giubilato

Nel 2017 arriva il tuo primo album di inediti, La rosa del deserto. Cosa ti ricordi maggiormente di quel primo lavoro discografico?

Che se tornassi indietro rifarei tutto diversamente! A parte gli scherzi, sicuramente non avevo la maturità che ho ora. Così come rifarei parecchie cose del mio secondo album (a solo un anno e mezzo di distanza!). Sono certa che tra qualche anno o forse tra qualche mese, quando riascolterò quello che sto facendo ora, avrò molto da ridire. È giusto così, non bisogna mai sentirsi arrivati e bisogna sempre cercare di migliorare e imparare cose nuove. “La rosa del deserto” è stato interamente autoprodotto all’interno di una stanzetta improvvisata a studio, con qualche strumento professionale acquistato con i risparmi. Credo che chiunque abbia una buona intelligenza sappia sempre vedere oltre, troppo semplice fare un buon lavoro quando hai i soldi per registrare agli Abbey Road Studios. La musica, per me, è altro.

Nel 2020 arriva il disco La poesia di una donna (anche sotto un vestito). In questo cd racconti diverse storie di stampo femminile, come ti è venuta l’idea di creare un lavoro discografico di questo tipo?

Ad un certo punto mi sono accorta di avere parecchie canzoni dedicate al mondo della donna. Così, senza alcun motivo apparente. Successivamente, scavando dentro di me, ho capito che forse le ragioni andavano ricercate nel mio inconscio, in tutte le volte in cui mi sono sentita inadeguata, incatenata e prigioniera di una società che, per un motivo o per un altro, si è spesso sentita legittimata a giudicarmi e a stabilire chi fossi o chi non fossi, dimenticandosi che l’unica persona che sa esattamente come stanno le cose sono io. Credo che queste canzoni siano nate dal mio bisogno di dar voce alla mia protesta: io amo la libertà, amo scavare in profondità, dietro alla società che tanto amo quanto spesso disprezzo. Dietro la storia di ogni personaggio delle mie canzoni c’è qualcosa di me, anche se io non lo sapevo.

Qual è la canzone a cui sei più legata di questo secondo disco?

È un po’ come chiedere: “Quale figlio preferisci?”. Magari c’è un periodo in cui uno ti fa più arrabbiare dell’altro e un momento in cui uno ti dà una maggiore soddisfazione, ma non so rispondere a questa domanda. Sono tutti figli miei ed ognuno di loro è speciale a modo suo.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Finalmente, dopo averlo desiderato a lungo, sono riuscita a mettere in piedi (insieme al mio produttore) un bel quartetto d’archi, con tanto di ballerina. All’interno degli spettacoli canterò diversi brani completamente inediti e alcune cover d’autore (da Ennio Morricone ai cantautori italiani). Mi piacerebbe portare questo spettacolo in diversi festival e teatri italiani. Per quanto riguarda la discografia, invece, ho parecchie canzoni pronte che al momento ho deciso di eseguire solamente nei live.


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