Intervista a Carlo Valente

Carlo Valente

Il cantante Carlo Valente si lascia ispirare da subito dal piccolo paesino dove abita al confine con l’Abruzzo. Lì nasce il suo amore per le montagne e il timore per il mare, la passione per la pizza alle noci e l’insopportazione per l’America.

In questa chiacchierata abbiamo parlato dell’adeguamento, dell’influenza del paesino sulla sua musica, dell’album Metri quadrati e di molto altro!


Ciao e benvenuto! Tu nasci e lotti da sempre in un piccolo paesino di appena mille abitanti al confine con l’Abruzzo. Secondo te questo come ha influito sulla tua musica?

È stato determinante. Ho vissuto per diversi anni nelle grandi città: prima Bologna, poi Roma, passando per Pisa, ma col tempo ho capito che la dimensione migliore per far nascere le mie canzoni era il paese, le montagne. Soprattutto questo nuovo disco, ha respirato aria buona, seppur scritto durante la quarantena.

Hai più fiducia nella rottura che nell’adeguamento, cosa ti porta in più quella parte delle relazioni umane rispetto all’adeguarsi?

Quando parlo di rottura mi riferisco al modo di scrivere una canzone e a come veicolarla. Prima incidere un disco o fare una canzone era un atto coraggioso, si cercava il modo per sperimentare, per conoscere nuovi linguaggi, nuovi suoni, a costo di non essere capiti. Oggi invece si fa di tutto per assecondare i gusti di chi fruisce la musica.

Capisco cosa piace e premo su quel tasto, per ottenere like, ascolti, interazioni ecc. Ecco perché rottura e adeguamento. Ovviamente anche nelle relazioni è così. È molto più semplice adeguarsi. Prendere una decisione improntate invece costa, e ci vuole coraggio per prendersi delle responsabilità.

Carlo Valente

Il tuo nuovo album, Metri quadrati, racconta con una cattività soffocante ma prolifica una quarantena che è un viaggio dentro e fuori di sé. Impossibile non pensare al periodo del lockdown ascoltando questo disco. Quest’esperienza credi abbia cambiato il modo in cui ti approcci alla musica?

Si, mi ha aiutato a capire che fare questo mestiere non significa esclusivamente “attendere l’ispirazione”. Questo lavoro è come gli altri e quindi ho cominciato a darmi degli orari (quasi d’ufficio). Ci si mette seduti, sulla scrivania e si legge, si studia, si analizza, si combatte. Il mio approccio è cambiato totalmente e la quarantena, paradossalmente, mi ha aiutato in questo.

Il disco si apre con la canzone Mentre qualcuno nasce a Belgrado. Un testo che si focalizza sugli aspetti positivi che ha portato la quarantena nella vita delle persone. Credi che il soffrire insieme abbia lasciato un segno positivo che è continuato ad esistere una volta finita l’emergenza covid?

“Positivo” mi pare eccessivo. (ride NdR)

Soffrire tutti insieme, uniti, è durato poco. De André diceva “quando si muore si muore soli” e dopo un po’ di tempo la maggior parte di noi ha chiuso le serrande, probabilmente anche io. Ecco, lì mi sono detto: scriviamo. Mentre qualcuno nasce a Belgrado è stata un’autoterapia fondamentale. Ho cominciato a scrivere e piano piano mi sono riconnesso con le cose belle. Il mondo stava girando lo stesso e io dovevo fotografarlo. Dovevo salvarlo. Impresa impossibile ma determinante per i miei pensieri.

Una canzone che mi ha colpito al cuore è Corpi celesti. Un testo che parla di una storia d’amore che da una camera da letto abbraccia l’universo con la speranza di sovvertire le regole dell’astronomia. Come è nata questa canzone?

Se Belgrado si svolge in senso orizzontale, Corpi Celesti si muove in senso verticale. Azimut e Zenit del mio album. Non voglio svelare troppo perché ognuno ci sta trovando la sua storia, posso solo dire che è la canzone d’amore più importante della mia vita. E credo lo sarà per sempre.

In questo disco non affronti solamente l’argomento dell’astronomia ma passi anche all’arte nel brano Botero. Cosa ti ha colpito maggiormente dell’artista tanto da dedicargli una canzone?

Botero è una canzone che ha 3/4 chiavi di lettura. Si parte da un quadro di Botero ma in verità è una canzone autobiografica. È l’accettazione di un dolore, è la lotta quotidiana con lo specchio e con il proprio corpo. Questa canzone parla di un disturbo alimentare. Di una continua battaglia tra la voglia di cambiare per potersi accettare e la difficoltà immane nel farlo davvero.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Concerti, nuove canzoni, viaggi, abbracciare gli amici e suonare con loro nelle città in cui andrò. Continuare a scrivere e a lavorare con dignità e rispetto verso me stesso e verso chi crede in me.


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