Intervista a Cabaret Clandestino

Cabaret Clandestino

Il progetto Cabaret Clandestino è un format musicale che nasce nella città di Udine per dare spazio ai tanti talenti musicali della città che purtroppo non hanno modo per esibirsi fuori dalla propria sala prove.

Un’idea innovativa per il territorio udinese arrivata grazie all’energia di Hamza con cui abbiamo chiacchierato riguardo al Cabaret Clandestino, a come è stato accolto in città e di molto altro!


Ciao e benvenuto! La prima domanda ti sembrerà scontata: come mai hai voluto chiamare il tuo format “Cabaret Clandestino”?

Non è banale in realtà. Come si sapeva io ero clandestino però cercavo di non dirlo alle persone per non spaventarle per il fatto che sono una persona che sta illegalmente qua, che sta cercando di fare delle cose. Poi ho iniziato a sentire delle persone dire “State attente a quello lì che è clandestino”. Mi ricordo bene che è stata la mamma di una persona che conosco e io avevo detto “No devo iniziare a dirlo io adesso”. Ma non c’era ancora l’idea del Cabaret Clandestino. C’era l’idea di annunciare che lo sono.

Poi volevo unire video e musica dal vivo in un progetto. Sono andato a fare una live session al gruppo Zima Blu a casa del batterista a Pordenone. Sono molto bravi, è un gruppo jazz. Facendo la live session pensavo “Perché io non posso fare un progettino dove vengono i musicisti a suonare e allo stesso tempo faccio questi video qua?” Poi ho iniziato a riflettere cosa potrebbe essere musica, ma solo musica potrebbe essere limitante. Facciamo una cosa più ampia, un cabaret clandestino. Questa è stata l’occasione per annunciare che sono clandestino.

Come hanno accolto i giovani di Udine e non solo quest’iniziativa?

Era una cosa bellissima. La prima serata è stata fatta il 22 febbraio 2022, io mi aspettavo 30 persone, 40 massimo. Poi sono arrivate più di 100 persone, 130 credo. Era tutto non strutturato bene, sai la prima serata è sempre una prova. È arrivata tantissima gente, tantissima musica: c’è chi ballava, chi ha letto una poesia, dei ragazzi che hanno improvvisato… è andata benissimo. Lì mi son detto “Questa cosa sta diventando seria, come facciamo adesso? Devo prendermi degli impegni sul serio”. Avevo parlato solo con due persone per organizzare quella serata, il fonico (Gabriele Rossi) e il suo assistente responsabile del palco. Loro due erano con me quella serata.

Dopo che abbiamo ricevuto un sacco di complimenti e anche di richieste, bisognava ampliare un po’ il gruppo. Ho iniziato a scrivere a tutti: c’era una ragazza seduta al bar con la macchina fotografica. Mi sono presentato “Ciao sono Hamza, vuoi fare una parte?” “Sì”, poi un’altra ragazza conosciuta da un’altra parte. C’era chi non conoscevo proprio e ho iniziato chiedendo se voleva fare una parte nel progetto.

Bello questo modo di creare rete tra giovani.

Ha preso voce in tre serate da 130 a 140, 150 persone. Nel terzo appuntamento sono state 180 persone al Caucigh. È impossibile ottenere 180 persone lì. Gente per strada, gente dentro il locale, un casino. È stato un bel spazio, ci sono tantissimi giovani che suonano soprattutto per la parte della jam. Non hanno mai l’occasione per suonare. Suonano in cameretta, tra di loro, nella sala prove e basta tranne quando fanno qualche concerto. Si sono detti “c’è un posto andiamo a suonare” e hanno iniziato a venire. Nel giro di tre settimane il progetto ha preso vita.

Prima c’era un progetto molto bello, il Mood Podcast. Si spostava ogni volta in giro per le case. Poi è finito il progetto e la città è morta. Ma qui era una cosa più intima, con poche persone, 30 al massimo. Non una cosa pubblica a tutti. Dopo questo progetto non c’era più niente per noi. Anche io sentivo la tristezza, volevo andare a vedere un concerto e c’era solo lo Yardie, sennò non andavo da nessuna parte. Per questo il Cabaret ha preso la voce subito, mancava qualcosa vicino in centro.

Cabaret Clandestino
I ragazzi durante una serata del Cabaret (ph Tiziana Moccia)

Hai parlato di come hanno accolto i giovani quest’idea. Per quanto riguarda i posti, qual è il segreto per trovarne di disponibili ad accettare serate live con inediti? Perché di solito vanno le cover band.

Ci sono due modi. O trovi il proprietario che gli piace la musica, inediti, che vorrebbe sentire musica dal vivo e dice “Sono disposto a darvi lo spazio, fate voi”. E c’è quello che ti dice “Quante persone mi porti? Mi porti un tot di persone ti do un tot di soldi.” Tu con quel tot di soldi devi noleggiare e portare l’attrezzatura o la devi comprare. Tu arrivi là e dipende dal posto in cui stai andando. O parli di cifre o del piacere musicale. Col Caucigh all’inizio è stato un piacere musicale, niente cifre. Ma con altri locali, esempio in Castello è stata “Ti do questo mi porti un tot di persone” così con musica ed inediti.

Come dicevi tu quando porti un gruppo che fa la propria musica c’è il rischio che non venga tanta gente. Però se avviene tramite un progetto che ha già un seguito, 50 persone vengono a prescindere per il progetto e 20 perché sono curiosi. Quindi c’è un mix di affari strani.

Il progetto si compone sia di serate con palco aperto e jam session, sia con ospiti che annunciate sui social e i vostri canali. Secondo te c’è più riscontro con il palco aperto o con gli ospiti annunciati?

Dipende dalla data che facciamo, dalla serata, del dove e quando, dal contesto in sé. Se facciamo la classica data di ogni mercoledì lì c’è un riscontro con la jam. Se c’è una festa come un anniversario, giornata artistica in un liceo, la gente vuole entrambi. Sia sentire un gruppo locale che conoscono già che fa ballare e musica interessante. Poi vogliono anche loro esibirsi. Quindi dipende dal contesto, non si può dire. Non posso risponderti a questo al 100%.

Ora facciamo le serate del mercoledì dedicate solamente alle jam e al palco aperto perché prima c’era troppo poco tempo per farlo insieme agli ospiti che annunciavamo. Rimaneva solamente un’ora a disposizione ed era difficile far suonare tutti. Adesso abbiamo a disposizione due ore per far esibire più band e se abbiamo possibilità di fare date esterne, come in Carnia a luglio, organizziamo con i gruppi che si erano già esibiti nelle serate del Cabaret.

Parlando di licei recentemente avete fatto un bell’evento al liceo Marinelli. Come è nata l’idea di collaborare con una scuola?

Non è nata da me o da qualcuno. Ero a casa e ho ricevuto un messaggio “Ciao Hamza sono una ragazza del Marinelli. Vorremmo organizzare una giornata artistica. Abbiamo il preside che è d’accordo. Abbiamo pensato al Cabaret per organizzare”. Così ho parlato con loro e abbiamo creato questa giornata che è andata molto bene, un divertimento puro. Vedi un 600 persone dove tutti vogliono vedere il concerto, ascoltare della musica. Abbiamo anche fatto un workshop, divertentissimo.

Soprattutto per l’esibizione della scuola i ragazzi hanno visto i loro amici esibirsi e anche un gruppo esterno che abbiamo portato. Inoltre c’era il palco aperto per chi voleva cantare.

Cabaret Clandestino
Hamza durante la presentazione di una serata (ph Tiziana Moccia)

Avete festeggiato il vostro primo anno con una grande festa al Castello di Udine. Ripercorrendo questo primo anno, quali sono stati i momenti indimenticabili?

La prima sera del Cabaret. Poi la terza perché dopo di quella io non potevo più uscire di casa. Dovevo nascondermi per la storia che potevo essere catturato perché clandestino. Mi hanno dato l’espulsione dall’Italia, avevo la scelta o di andare via o nascondermi finchè non risolvevo la questione legale.

Lì è stata una tristezza totale perché sono saltate la quarta e la quinta serata. Però ho parlato con i ragazzi dello staff che hanno detto “Continuiamo, si può continuare”. Alla sesta serata, che in realtà era la quarta, lì c’è stato un momento che non potrò mai dimenticare. Mi sono collegato via internet, ho presentato la serata da casa, sentivo la musica da casa perché ero collegato anche al mixer, sentivo tutto, era bellissimo.

Durante quei due mesi in cui ero nascosto in casa tantissimi ragazzi che dopo la serata del Cabaret venivano a casa di un amico che mi ospitava. Venivano 20 persone, 30 a trovarmi, a stare dopo il Cabaret con me altre tre ore. Tipo finiva la serata a mezzanotte, venivano lì fino alle 3 e poi andavano. È stato così per un tot di serate finchè sono potuto uscire.

Poi l’anniversario, un momento che non si può dimenticare mai. Un momento dove festeggi l’anniversario di un progetto che hai pensato e hai applicato piano piano pensando “Bisogna risolvere questo, trovare una soluzione a questo”.

C’è anche un altro momento in cui sarei dovuto andare a Firenze per fare un documentario su una persona lì. Sarei dovuto stare lì un sacco di anni, era un progetto internazionale ma non è andato a termine. Sempre in Castello era il momento del saluto, abbiamo fatto l’ultima serata a settembre con me. Poi sono stato via un mesetto e sono subito tornato. Una parte di me mi diceva “No il Cabaret non è da lasciare così comunque”. Ma se fosse andato tutto bene in quel progetto lì fra un tot di anni avrei fatto un altro Cabaret.

Ti dico una cosa, forse non la sanno tutti. Quando sono andato a Firenze mi ero già messo a cercare un posto per fare un eventuale Cabaret. Già c’era l’idea di poter fare un Cabaret anche là. Ma non come qua, deciso, faccio, c’era una mezza idea e già avevo iniziato ad informarmi.

Un’opinione sulla musica udinese, friulana. Quali sono i nomi su cui punteresti di più?

Secondo me ci sono tantissimi gruppi validi, hanno delle idee bellissime. L’unica cosa che non riesco a capire è se questi gruppi vogliono fare musica, fare una carriera e vivere della musica o vogliono fare altro ma anche musica. Ci sono dei gruppi validi che a me piacciono tantissimo, se riesco a trovare una data per loro riguardo il Cabaret o altro posto faccio subito il loro nome.

Il primo nome è Dalyrium Bay perché hanno un genere allegro, un mix tra ska, punk, folk. Senti tantissimi generi, anche il jazz, in una canzone sola. Una musica particolare che ti piace o non ti piace.

Ci sono altri gruppi come Nabiz Experience mi piacciono come formazione e come idea di jazz funk. Mi piacciono anche i Laca Collective che anche loro fanno funk. I LonaRise che fanno musica elettronica.

Se vogliamo vedere la scena underground ci sono i Fanteria di prima linea anche lì è sempre un genere che o ti piace o non ti piace. Loro sono perfetti se vuoi presenza scenica, un sound completo tra la musica e il suo subpalco. Come i No good che hanno uno show sul palco, i passamontagna, personaggi sul palco e la musica. I BBF Trio di Paularo.

Insomma ci sono tantissimi ragazzi validi che suonano molto bene, fanno una musica molto bella ma devono direzionarla secondo me verso chi e come. L’unica cosa forse che manca.

Secondo te cosa manca a Udine per poter diventare una città che punta sulla musica inedita e non sulle solite cover band?

Forse questa è la domanda più difficile che mi hai fatto. Secondo me Udine deve iniziare ad investire sui giovani. Non che si aspetti solamente un ritorno economico da questi giovani. Lo fai perché dovresti farlo secondo me. Investire sui giovani che sono cresciuti qua, che sono cittadini, meritano qualcosa dal Comune, dallo Stato, dalla Regione che dovrebbe aiutare questi giovani che stanno facendo di tutto per la musica.

Io lo vedo perché tanti di loro sono miei amici. Vedo l’impegno che ci mettono: c’è uno che va a lavorare in fabbrica, torna alle 10 di sera e prova alle 11 e il giorno dopo ha il turno in fabbrica alle 6, 7 fa lo stesso perché ci crede in quella cosa lì.

Secondo me se il Comune decidesse di dare una mano, magari costruisce una sala prove o anche una sala concerti in città sarebbe molto bello. E se vogliamo parlare anche di un ritorno economico c’è perché quando tu chiami una cover band famosa che porta gente, la gente spende la benzina, consuma in un locale quindi il Comune in una maniera indiretta guadagna. Se investiamo su questi giovani, costruisci una sala prove, cominci a fare i concerti dando spazio agli emergenti però in quella sala prove lì potresti chiamare anche gente famosa.

Quando viene gente famosa c’è chi si sposta da un’altra città per sentirli spendendo benzina, cibo, albergo, qualsiasi cosa. Quindi il ritorno economico c’è in ogni caso. Bisogna solo decidere di farlo e dare importanza alla cultura. Magari qua diamo tanta importanza all’alcol però vogliamo anche una sala musica, bisogna prima o poi iniziare a dare importanza a questo. Senza aspettare un ritorno subito. Ad esempio i Maneskin quando loro erano sconosciutissimi erano un gruppo che facevano cover. Hanno iniziato a pubblicare la loro musica, dopo un po’ sono diventati famosi. Ora ritornano con un ritorno economico grandissimo. Se facessero un concerto nella loro città ci sarebbe: il riconoscimento che loro sono di quella città, portano un sacco di gente là e tantissimi soldi.

Bisogna pensarla al livello tra arte ed economia perché si scontrano sempre. Se investi sull’arte ti arrivano anche i soldi dopo, ma non devi aspettarli subito. Facciamo finta di lasciare stare i soldi, perché non lo facciamo per amore dell’arte? Per la musica e basta? La musica è un pezzo fondamentale della nostra vita. L’ascolti in casa, fuori, in un concerto. Potrebbe cambiarti le idee, farti pensare, riflettere. Potrebbe tirarti su, buttarti giù, è varia bella e bisogna ascoltarla. Dateci lo spazio dove farla e basta.

In un futuro vorrei vedere l’assessore della cultura per poter vedere se si può fare qualcosa, investire sui giovani. In realtà la Regione fa dei concerti belli grossi su palchi importanti, ma chiamando sempre un tizio famosissimo. Ma secondo me si potrebbe puntare allo stesso modo su uno piccolissimo che potrebbe diventare famosissimo. E torna sempre qualcosa anche al Comune prima o poi.

(Foto copertina di Tiziana Moccia)


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