Intervista agli I Shot a Man

I Shot a Man

La band I Shot a Man nasce seguendo la passione per il blues delle origini e la voglia di portarlo alle orecchie delle nuove generazioni. Oltre ad aver raccolto live nel nostro Paese, gli I Shot a Man hanno portato la loro musica anche negli Stati Uniti.

In questa chiacchierata abbiamo parlato dell’amore per il blues, delle importanti esperienze vissute con nomi importanti della musica, del nuovo disco Dues e di molto altro!


Ciao e benvenuti! Il vostro gruppo nasce dall’ostinazione di portare alle orecchie delle nuove generazioni il blues come se nascesse oggi. Come mai avete un grande amore per questo genere musicale?

Il blues è la prima musica che strimpelli quando prendi una chitarra in mano, ma è l’ultima che impari a suonare davvero, e a volte non basta una vita. È tecnicamente essenziale, l’armonia è spesso ripetitiva, il ritmo varia pochissimo. Eppure in quella semplicità si cela una profondità che pochi riescono a raggiungere.

Nel corso della vostra carriera avete raccolto molte date live, tra cui anche aperture a diversi nomi della musica. Cosa ha portato in più al vostro progetto queste importanti esperienze?

Beh osservare i grandi all’opera è sempre un’esperienza che ti cambia. Avere il privilegio di vederli da vicino è ancora più intenso. Invidiamo la capacità di alcuni musicisti di condensare una vita in pochi gesti, esibirsi con una semplicità disarmante eppure essere universali e profondi.

I Shot a Man

Il vostro nuovo disco è Dues, descrivetelo usando tre aggettivi.

Dues è elettrico, notturno, denso.

Cosa rappresenta quel due nominato nel titolo dell’album?

È il nostro secondo album. Ci piaceva l’idea di giocare con la parola “due”!

È un viaggio alla scoperta del nuovo blues, secondo voi questo genere musicale continua ad esistere anche nel cuore delle nuove generazioni?

Le cosiddette “nuove generazioni” sono quelle che maggiormente hanno contribuito a rinnovare il blues. La generazione che ci ha preceduto, i nostri maestri, hanno sempre avuto un atteggiamento riverente nei confronti di questa musica, cercando di avvicinarsi agli stili dei grandi musicisti che hanno amato. Le generazioni più giovani hanno un rapporto meno filologico e più poetico, cercando di prendere l’essenza del blues senza cercare di copiare gli stili, ma innovandoli e contaminandoli.

Nel disco viaggiate tra passato e presente di questo genere musicale. In Arnold Wolf vi avventurate nel mondo delle chitarre elettriche. Secondo voi il blues si sposa bene con questo mood dai sapori rock?

Come diceva Muddy Waters “The blues had a baby, and they named the baby Rock n Roll”. Il rock non esisterebbe senza il blues, e il blues degli ultimi decenni non ha potuto fare a meno del rock. Sono un padre e un figlio che si inseguono, litigano, fanno pace, litigano di nuovo, e poi li vedi seduti a bere una birra insieme.

Il vostro lavoro discografico attraversa anche atmosfere delicate con la ballad Billboards. Voi vi sentite più tipi da rock o da ballad?

Abbiamo un cuore per ogni situazione. Con le chitarre elettriche a palla e la batteria che mena sono bravi tutti a fare i duri, ma provateci suonando un lentone, sfiorando le corde, cantando con un filo di voce, a rimanere impassibili. Siamo tante cose insieme, forse è per questo che avevamo bisogno di scrivere tanto le ballads quanto i pezzi più forti.

Quali sono i vostri prossimi progetti?

Adesso che il disco è uscito, vogliamo dedicarci anima e corpo alla musica dal vivo. Il blues non esiste se non lo si suona da qualche parte, per qualcuno.


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