Intervista a Elya

Elya

Il cantante Elya è uno dei primi nomi che sono comparsi agli albori della pagina instagram. Attivo nella musica prima con la band Attika con cui ha vinto il Festival Show e si è fatto notare ad Amici. Ma il boom è arrivato con The Voice nella squadra di Max Pezzali.

In questa chiacchierata abbiamo parlato delle varie avventure televisive, dei singoli che ha pubblicato nel corso degli anni, del suo disco d’esordio, della collaborazione con City Angeles e Control e di molto altro!


Hai iniziato la tua carriera con la band Attika con cui hai partecipato al Festival Show, Amici… qual è il ricordo più bello che hai legato a quel periodo?

Il Festival Show, la serata a Verona dove avevamo vinto con il brano Verde. Forse quella è stata una delle serate più belle degli inizi perché si erano presentate delle coincidenze con artisti che seguivo fin da ragazzino come Max Pezzali. Quella è stata una serata particolare perché per la prima volta ho visto un pubblico che non mi conosceva reagire in modo positivo alla musica che avevo scritto.

Lì ho cambiato modo di approcciarmi alla musica, di lavorare in studio di registrazione, ho preso molta più fiducia. Da lì credo di avere preso una delle piccole svolte di maturità che ho avuto nel fare questo percorso.

La band Attika era nata quando avevo 14 anni, ascoltavo molto i Blink 182 e volevo un gruppo stile one eighty two. È molto difficile da gestire una band soprattutto quando si hanno le prime telecamere puntate addosso. In quel caso si vede chi ha la stoffa di farlo e chi no.

Anche da solista ho voluto tenere l’idea di band, nei concerti e anche quando lavoro in studio. Ad esempio voglio uno che mi suoni la tromba, bene trovo un jazzista o chi voglio io, conosco un musicista o una persona nuova… l’idea di band è molto snella, mi ha sempre attratto fin da ragazzino. Poi le cose cambiano però in realtà mi porto di quel periodo forse l’ingenuità anche iniziale con cui ho iniziato ad approcciarmi allo studio, alla musica… In modo molto istintivo, ingenuo ma anche con un’indole molto egocentrica.

Ma non in senso negativo: il ragazzino di 14-15 anni non si pone molti ostacoli, che magari più avanti con l’età riconosci e quindi possono diventare anche dei blocchi. Un ragazzino di 14, 15… 19 anni è più sbruffone, ma in senso positivo. Perché non vede l’ostacolo e quindi lo supera senza accorgersene.

Poi sei arrivato a The voice dove hai avuto un grande successo. Come è stato tornare davanti le telecamere dopo l’esperienza di Amici?

Tenendo presente che Amici è stata un’esperienza molto importante, ma allo stesso tempo quel periodo mi ha tolto una tranquillità fisica che magari prima c’era. Io sono stato costretto a lasciare Amici per una questione fisica. È stato un colpo molto duro all’epoca che mi ha condizionato psicologicamente per almeno un anno.

Immagina di guadagnarti quello per cui hai lavorato giorno dopo giorno. Pure essendo stato un ragazzo di 20-21 anni, però ogni giorno ho avuto l’ossessione della musica quindi ho sempre cercato di fare le cose fatte bene e, non lo nascondo, per arrivare al grande pubblico. Non voglio fare la musica per me e basta, voglio trovare anche il linguaggio mio che possa essere facilmente accessibile anche dagli altri. Per fare condivisione, se non la facciamo non va bene… a mio avviso, questo è un mio pensiero.

The Voice è arrivato in un momento in cui io avevo deciso di fregarmene, volevo fare il mio primo disco. Avevo ascolti completamente diversi, l’anno in cui avevo deciso di fare il solista con le persone che mi volevano bene, manager, etichetta, chi più ne ha più ne metta.

Loro erano contro la scelta di tornare in un talent per il fatto che avevo fatto Amici con il nome Attika. Poteva essere un passo indietro rispetto al percorso che avevo fatto fino a quel momento. Io me ne sono altamente fregato, anche delle persone di cui mi fido moltissimo, ma ho preso la decisione all’epoca di iniziare questo percorso solista.

Quindi di assumermi anche tutte le responsabilità del caso, perché sai benissimo che qualsiasi fallimento sarà completamente sulle tue spalle. Essere facilmente riconoscibile, avere qualcosa di differente rispetto agli altri e non cercare di emulare l’artista che ti piace.

È stato un momento di assunzione di responsabilità da parte mia. La chiamata di The Voice è arrivata nel momento in cui io stavo tranquillamente facendo il mio disco e volevo pubblicarlo, anche per poche persone, non mi interessava. Però volevo farlo proprio per rimettermi in pista psicologicamente più che altro. Invece durante le registrazioni mi arrivò proprio la chiamata della redazione di The Voice chiedendomi di fare un provino perché mi avevano adocchiato ad Amici.

Per il discorso telecamere: all’inizio ero più diffidente. Non nei confronti delle telecamere, ma di tutto l’entourage che girava dietro questa trasmissione televisiva. Diffidente perché non volevo quasi affezionarmi alle persone che mi trovavo attorno perché sapevo che poteva finire tutto. È un po’ come quando ti innamori: quando hai un grande amore poi se rimani scottato da questa cosa e finisce, la volta successiva sei molto più attento no?

Quella è stata la prima sensazione che ho avuto a The voice. Infatti anche con altri concorrenti e colleghi non ero simpaticissimo, stavo molto sulle mie. Ci è voluto un po’, piano piano ho imparato a fregarmene di tutto e a godermi proprio il momento. Dopo aver passato i provini e sono iniziate le serate, salivo sul palco che ero veramente rilassato. Non mi interessava il giudizio di nessuno, avevo proprio necessità di stare sul palco.

A me le telecamere sono sempre piaciute molto anche per una questione di vanità perché chiunque faccia o voglia fare un mestiere esposto un pizzico di vanità c’è sempre. Più che quello, di ego. In modo sempre positivo perché ho avuto modo di analizzarmi parecchio.

È stata un’esperienza molto importante per riacquisire la fiducia, per collaborare con persone che ho sempre stimato.

Elya

A The Voice hai portato come inedito Evelyn, una canzone nata durante un viaggio a Berlino. Non è la prima canzone ispirata dal mondo oltreconfine… l’ispirazione migliore ti arriva dal mondo italiano o estero?

Le esperienze principali sono sempre avvenute in Italia, perché io la amo, ci vivo, ho le mie relazioni e amicizie in Italia. Tutto nasce da una mentalità di una persona nata e cresciuta in Italia. Ma sono sempre dell’idea che chi ha la possibilità deve viaggiare molto, quando può.

Viaggiare è fondamentale, me ne sono reso conto quando mi sono trasferito anni fa qui a Milano, una città vicinissima all’Europa, come diceva Lucio Dalla “un ponte per l’Europa”. Io che non parlo bene inglese mi sono trovato in una realtà in cui tre giorni alla settimana parlo inglese. Non perché lo cerchi, perché esco e conosci persone francesi, americane… più viaggio più hai sicuramente delle prospettive differenti. Sei anche più attento ad ascoltare e comprendere chi hai davanti.

Più che l’estero, è stata l’esperienza che ho vissuto all’estero, che magari come la canzone Norimberga che parla del rapporto tra padre e figlia, se avessero vissuto in Sicilia sarebbe nata comunque la canzone. Magari avrebbe avuto un nome meno catchy (ride NDR), non avrebbe catturato magari così l’attenzione. Quello è stato un caso fortuito e sono contento che sia avvenuto. Forse è uno dei brani a cui sono più legato in assoluto.

Evelyn è nata in una città come Berlino. Ero in una delle classiche vacanze con gli amici, quindi party, quello che succede a Berlino rimane a Berlino. Mi ricordo una sera c’era… non mi ricordo molto perché è passato tanto tempo… poi credo che chi scriva una canzone metta un po’ di “come vorrebbe fosse andata”, c’è sempre un pizzico di bugia.

Però ricordo questa cameriera semplicemente bionda in questo pub berlinese bellissimo e stop. Mi ero fatto tutto un film su questa ragazza, un amore platonico. Questo inedito lo aveva scelto Pezzali, io avevo portato più brani quindi c’era anche Un altro brandy all’epoca già, però non aveva avuto quell’appeal sull’entourage e credevo anche io che per lo show fosse più idonea una canzone come Evelyn.

Che bella che sei è il singolo che è arrivato dopo (aprile 2017). Volevo focalizzarmi sul video: come mai solamente tu e il pianoforte?

Ricordo che avevamo pochissimo tempo perché dovevamo consegnarlo nel giro di poco tempo. in più secondo me la canzone rispecchiava un ambiente molto semplice, nulla di che. Pianoforte, voci, magari anche un teatro volevo all’epoca. Invece poi abbiamo trovato questo bellissimo studio di registrazione.

Volevo qualcosa di molto semplice ma che non andasse a nascondere o ad influire sul senso della canzone. Volevo che le persone si concentrassero lì perché è una canzone molto semplice, molto vera, sincera. Io di quella canzone ricordo solo una frase Riempi il cuore come il vento la vela che per me ancora oggi se ci ripenso all’inizio l’avevo un po’ snobbata quella frase. Ma mi ritrovo anche con amici e con persone che mi conoscono molto bene che mi riportano questa frase e ammetto che è una delle frasi di cui vado più fiero. È nata in maniera molto naturale e sul momento non mi sono reso conto di aver scritto qualcosa di molto bello, profondo e con un pizzico di poesia. Mi faccio complimenti molto raramente ma mi rendo conto che l’Elya dell’epoca ha scritto una bella cosa.

Ci hai fatto scatenare con Ho conosciuto Paolo dove avevi raccontato il divertimento unito ad un tormentone estivo. Hai voluto raccontare uno specifico divertimento con riferimenti a Marilyn, Johnny Cash…

Il ritornello è nato quando avevo 17 anni così com’è. Eravamo in una serata a casa di un mio carissimo amico, le serate in cui ti lasci andare un po’ di più, scopri gli alcolici, tante cose, ti diverti, è giusto per l’età. Mi ricordo che c’era sempre questa chitarra molto scordata e avevo iniziato a canticchiare questa canzone perché Paolo è una sorta di codice.

La canzone è nata in un momento di puro divertimento, sano, nulla di che. Poi nel corso degli anni questo ritornello mi ha sempre turbato, riempito la testa. Ad un certo punto ho detto Senti la faccio. Contento il mio manager dell’epoca che si chiamava Paolo al quale avevo già spiegato il tutto.

C’è sempre voglia di muoversi con una canzone di questa tipologia. Forse è una delle canzoni più riuscite che abbia fatto, più divertenti per il live soprattutto.

Il singolo di lancio del tuo album è Una ragazza così. Come mai hai scelto proprio questa canzone che parlava dei rapporti online, reali?

Prima dell’uscita del brano io mando sempre la canzone tra i produttori per avere un feedback, per sapere cosa ne pensano. Poi faccio quello che voglio, ma sono curioso del loro parere. Uno di questi mi ha detto “E’ una canzone contro le donne”. Io ho passato qualche ora di crisi dopo questa frase. Pensavo Non era questo l’intento, ho sbagliato qualcosa? Poi mi sono detto Un cazzo, non ho sbagliato proprio niente. Quella non era una canzone contro le donne. Elogiava il rapporto diretto con una persona. A cosa serve YouPorn quando hai una ragazza così. Non è niente di geniale, l’intento era proprio l’opposto ed era facilmente capibile. Era un elogio ai rapporti reali.

La scelta del singolo semplicemente credevo fosse giusta nel periodo in cui ci trovavamo, il sound era giusto per quel periodo. In più era giusto per iniziare a ballare in attesa del disco. In realtà ero indeciso tra questa e Cosa ti farei. Mi è sempre piaciuta, anche vedendo ai live mette sempre carica.

Di quella canzone ricordo la collaborazione che avevo fatto con un’amica splendida, Giuliana, che aveva da poco finito il film con Sorrentino. Lei era stata a The Voice con me, io ero un amante dei film di Sorrentino. Appena l’ho vista le ho detto “Senti vieni qui ti prego fammi il video”.

Arriviamo all’album di debutto uscito nel 2018, Elya. Tredici canzoni tra ballad e canzoni su cui ci si può scatenare. Hai una canzone che dedicheresti alla tua infanzia, una alla tua adolescenza e una alla tua età adulta?

Che bella questa domanda! Allora la mia infanzia partirei con una canzone che non è una canzone, Notturno Ino che è solo pianoforte. È proprio infanzia perché arriva a toccare quelle corde. È stato il penultimo brano che ho voluto inserire tra le tracce, perché volevo il numero 13, dispari.

Poi adolescenza… ti direi Vorrei sentirci litigare.

Età adulta, Norimberga.

Dopo il disco sono arrivati i video della serie Elya Piano live (dove protagoniste erano canzoni effettuate solo piano e voce all’interno di un castello). Farai altri video del genere?

Sicuramente sì.

Giungiamo al periodo presente. Durante il periodo delicato della pandemia sei tornato con due canzoni totalmente diverse tra loro. Una puramente strumentale Melancholia e Benvenuto nel 2020 dove ho notato molte frecciatine sul periodo che stavamo vivendo. Quale delle due canzoni ti rispecchi di più?

Sono due mondi completamente differenti. Melancholia in realtà è nata in un momento in cui grazie al mio amico Marco Donazzan con il quale ho un’amicizia che dura da oltre 10 anni. Con lui faccio diverse collaborazioni, è la persona che stimo di più a livello fotografico, creatività fotografica, immagine, per me è un genio.

L’idea è nata da lui. Io non scrivo esclusivamente canzoni, c’è una parte molto ampia di me che si occupa esclusivamente di brani a pianoforte. Questo brano era nato in un momento in cui noi eravamo chiusi, c’era il lockdown. Marco si è reso conto e ha potuto toccare con mano quella situazione che stavano vivendo le persone che dal giorno alla notte si sono trovate per strada, anche della nostra età. A causa della pandemia oppure già erano per strada e che venivano totalmente ignorate. L’unico appoggio che avevano era legato ad associazioni come City Angels, supporti per senzatetto.

Quindi abbiamo deciso di creare un progetto che fosse utile per rendere visibile gli invisibili, soprattutto a Milano. Nelle grandi città in generale è molto facile incontrare persone che vivono per strada. Non voglio essere ipocrita, anche io molte volte non li vedevo. Lì vai a perdere un determinato contatto con l’essere umano.

Il progetto è stato fatto per riuscire a far comprendere alle persone che ci sono situazioni veramente drastiche che alle quali basta veramente poco. Dopo l’esperienza vissuta con i City Angels mi sono abituato a prestare attenzione. Ad esempio so che vicino allo studio c’è una persona che trovo spesso e con questo caldo gli porto una bottiglia d’acqua fresca. So che gli piace la focaccia con le olive, se vado in panificio e prendo qualcosa per me, compro anche una bottiglia e la focaccia per lui e giela porto, basta veramente poco.

Anche questo secondo me è un modo intelligente per far comprendere alle persone che attorno ci sono ancora delle possibilità, delle persone che vogliono farti star bene. Non sei escluso, diventi incluso in tutto questo. Molte volte siamo presi dalla frenesia delle cose e non ci rendiamo conto di questi personaggi.

Io ho conosciuto una persona, un ex professore di università che ha perso il lavoro per delle sfortune ma ancora adesso si veste di tutto punto. È stato schiacciato dalle situazioni in famiglia, divorzio e non ha avuto la fortuna di avere delle persone accanto che potessero aiutarlo. Dal momento all’altro si è trovato per strada dopo aver ricevuto per tanto tempo il suo stipendio universitario. Con questo voglio dire che sono persone come me, come te, che semplicemente sono state sfortunate in determinati momenti.

Il messaggio che volevamo mandare era rendere visibile, anche in modo molto crudo, qui è stato Marco a porre il focus su questo. Volevamo far emergere questa situazione legata ai senzatetto. Una situazione terribile soprattutto nelle grandi città. La musica semplicemente è stata di supporto a questo, ma nasceva anche lei da una situazione molto nostalgica, malinconica quindi si adattava perfettamente alla situazione.

Benvenuto nel 2020 come hai detto tu è un brano molto ironico e con frecciatine. Nasceva da un rapporto ipotetico tra un essere umano attuale e quello del futuro. Un dialogo legato ai cambiamenti climatici, a come le generazioni precedenti si sono comportate creando poi quello che il mondo attuale è. Io ho notato che nelle ultime generazioni c’è un’attenzione molto palpabile sulla questione climatica, secondo me c’è molto di positivo adesso. Era un brano molto ironico e mi viene da dire anche triste perché non parlava di cose felici. Ho fatto anche una versione acustica molto sentita perché il testo non era felice ma allo stesso tempo volevo che lo fosse.

Hai pubblicato il brano DAP, come è nato?

In realtà era nata almeno tre anni prima. Di questa canzone mi ricordo la luce dello studio di registrazione quando l’ho scritta. In realtà era una luce del tramonto, era estate, faceva caldo. Ero in crisi come al solito. Era una canzone che parla di Disturbi Da Attacco di Panico, DAP. L’ho provato sulla mia pelle qualche anno fa e si basava proprio su questo.

Tu sei anche un autore, hai scritto per molti artisti. Come è stato lavorare dietro le quinte di una canzone, anche per Nika Paris che recentemente ha partecipato a X Factor?

Non sono proprio autore, ma compositore e autore. Non scrivo solo il testo, delle volte mi trovo a comporre la musica e le melodie partono da me. Lei è stata la prima persona a cui ho dato la mia creatività in mano. Perché mi sono innamorato a livello artistico del suo progetto, del suo talento pur essendo lei molto giovane. Ancora oggi credo moltissimo nel suo progetto, con lei ho iniziato a rapportarmi in questo modo. Da lì è partita la questione relativa alle collaborazioni autorali con altri artisti. È un lavoro differente perché tu devi essere molto psicologo. Perché se io in una canzone mia posso permettermi perché fa parte del mio linguaggio di dire Vaffanculo perché voglio dire quella parola, posso farlo.

Ma se io metto in bocca questa parola ad una ragazzina di 17 anni ad esempio Nika Paris, per il suo mondo, per come si rapporta con le persone, per il suo linguaggio, è stonato e di conseguenza non è credibile. Quindi il lavoro dell’autore devo ancora imparare però è totalmente un’altra cosa. È differente dal cantautore però ti permette a volte nel mio caso sfruttare per alcune parti della mia personalità che sono vicine all’artista che ho di fronte. Una possibilità in più che ho per esprimermi. È veramente diverso perché devi conoscere la persona a pieno, devi capire i suoi gusti musicali, vestire una canzone su di lei.

Un ruolo molto difficile ma è bellissimo te lo assicuro. Poi con Nika ho avuto la possibilità immensa di sentire una mia canzone al Forum. Nessuno lo sa che fai parte del progetto, ma io ero lì ed è stata una bella emozione, poi trovarla in radio costantemente è una bella sensazione.

Arriviamo al presente, la canzone Non fare la quaglia. Come è nata?

È stato Andro (produttore, tastierista dei Negramaro) a propormi questa cosa. La Control cercava un brano per lo spot per la sensibilizzazione sul salto della quaglia, per motivare le persone all’uso del preservativo… è stato veramente difficile, te l’assicuro, usare determinate parole legate a Quaglia in una canzone. Avevamo pochissimo tempo ma è uscita una cosa molto simpatica secondo me. Sta avendo un buon riscontro che io non ho mai avuto con altri brani, vedi le cose come vanno… è stata la scusa per me per rimettermi sul palco. È stata la chiave di svolta.

Grazie ad Andro, alla fiducia che ha avuto in me io riparto col mio progetto. Se non ci fosse stata quella canzone, mi viene da ridere, non so quanta fiducia avrei avuto per ripartire. Mi stavo proiettando più sulla scrittura per altri. Invece sono già rimontato in sella e sto guardando avanti.

La domanda allora casca a fagiolo, cosa bolle in pentola?

Tanta musica. Se vuoi faccio un click e pubblico due dischi, ma non è questo il caso. Questa volta, se da ragazzino ero più legato all’istinto, alla mia età non puoi avere solo quello. Sto “pensando bene” a cosa voglio in tutti i particolari portare sul palco. Un lavoro che sto facendo in modo molto dettagliato, molto difficile, cestinando moltissime cose per poi riscriverle. Cosa che non facevo anni fa. Adesso lo faccio finché non mi convince a pieno.

Non mi sto facendo guidare dall’onda ma sto cercando di essere il vento di tutto questo. Molta musica, non so dare una data ma molta musica. Molta. E collaborazioni.


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