Intervista a Roberto Bonfanti

Roberto Bonfanti

Il cantante Roberto Bonfanti non è solamente un nome del mondo della musica ma è soprattutto autore di diversi romanzi. Oltre a fare canzoni inedite, Roberto Bonfanti è molto attivo con diversi ruoli all’interno della musica indipendente italiana.

In questa chiacchierata con Roberto Bonfanti abbiamo parlato dello scrivere un romanzo e una canzone, dei diversi ruoli nel mondo della musica, del suo singolo Poi il tempo e di molto altro!


Ciao e benvenuto Roberto Bonfanti! Tu oltre ad essere un nome della musica sei anche un autore di romanzi. Cosa cambia nell’approccio della scrittura in una canzone rispetto ad un romanzo?

Innanzitutto grazie mille per l’ospitalità sulle tue pagine! Per me la scrittura di un romanzo e quella di un testo per un progetto musicale sono due cose che spesso partono da appunti comuni ma che si sviluppano inevitabilmente in modi parecchio diversi fra loro per rispondere a esigenze espressive altrettanto differenti.

Il romanzo è una forma complessa che permette di approfondire ogni tipo di sfumatura dei personaggi e del contesto che si sta raccontando mentre il racconto all’interno di un brano musicale consente di esprimersi in modo molto più diretto utilizzando immagini forti ed evocative che si arricchiscono poi di ulteriori dettagli suggeriti dalla musica e dall’interpretazione vocale.

Sono entrambe forme a cui sono affezionato, anche se in questo momento sentivo l’esigenza di esprimermi in modo meno mediato e da qui è nato il desiderio, nove anni dopo il mio primo album, di lasciare da parte i romanzi per un po’ e tornare a lavorare su un progetto musicale.

Da anni sei attivo con diversi ruoli nel mondo della musica indipendente. Quale di questi è quello in cui ti senti più a tuo agio?

Mi piace molto scavare nel sottobosco dell’underground musicale italiano per andare alla scoperta di cose nuove da ascoltare e di cui parlare. Questo è sicuramente il ruolo in cui mi trovo più a mio agio, un po’ perché è ciò che mi viene più naturale e un po’ perché è la veste più lontana da una serie di problematiche pratiche o relazionali che spesso ho faticato a vivere in modo sereno.

Un tempo mi piaceva anche fare recensioni vere e proprie con un approccio “da critico” sia in positivo che in negativo: oggi invece preferisco semplicemente andare alla ricerca di progetti che mi comunichino qualcosa e cercare di approfondirli scrivendone poi all’interno della mia rubrica in collaborazione con Rock Targato Italia o all’interno dei miei spazi.

Il tuo nuovo singolo è Poi il tempo, descrivilo usando tre aggettivi.

Il primo aggettivo che mi viene in mente è sicuramente “urgente”. Perché è un brano nato dall’esigenza personale di prendere posizione in modo forte su tutta una serie di tematiche che mi sembrano vitali in questo momento storico.

Il secondo credo possa essere “realistico”. Perché purtroppo quello che traccia il testo è una fotografia del mondo contemporaneo. Ciò che credo sia estremamente aderente alla realtà di ciò che tutti quanti abbiamo vissuto nel passato recente e stiamo vivendo tuttora.

Infine come ultimo aggettivo sceglierei “disilluso” oppure “spietato”, perché sentivo il bisogno di esprimermi senza fare sconti a nessuno, nemmeno a me stesso.

Il brano si focalizza su un’analisi cruda e diretta sul periodo storico in cui stiamo vivendo. Esso evoca la colonna sonora di un film distopico lasciando spazio ad una riflessione finale. Ciò su un senso di sconfitta che coinvolge il singolo quanto l’intera collettività. Credi che ci sia un modo per poter evitare la sconfitta?

Questa è una bellissima domanda che apre parecchi spunti di riflessione.

Inizierei col dire che viviamo purtroppo una società che sembra avere l’ossessione di dover “vincere” in ogni tipo di ambito. Un’ossessione che, a mio modo di vedere, assume spesso i toni del grottesco. Anche in campo sportivo, per esempio, ormai non basta più che l’atleta vinca o che sia “il più forte al mondo”. Ma deve essere “il più forte di tutti i tempi”.

Ecco: io sono convinto che, proprio mentre dilaga questo tipo di mentalità. Tornare a diffondere un po’ di sana cultura della sconfitta e dell’accettazione dei propri limiti e dei propri fallimenti farebbe solo bene a tutti quanti. Anche perché personalmente, anche tornando all’ambito sportivo, gli atleti che più ho amato mi hanno spesso emozionato più nelle sconfitte che nei trionfi e non sono mai riuscito a empatizzare con i “vincenti per forza”.

Tornando più specificamente a ciò di cui parla Poi il tempo, io credo che l’unico modo per evitare quella particolare sconfitta -che è probabilmente quella più assoluta e dolorosa- sia saper vivere in modo coerente con ciò che siamo e ciò in cui crediamo.

Continuare a far sentire la nostra voce, non piegarci ai diktat che le derive imboccate dal mondo sembrano imporci, non arrenderci allo stato delle cose e soprattutto, anche se il resto del mondo va in un’altra direzione, saper continuare a vivere in quello che per noi è il modo giusto.

Insomma, io credo che alla fine l’importante non sia vincere o perdere ma semplicemente arrivare alla fine del nostro percorso a testa alta potendo dire a noi stessi di avere affrontato ogni cosa in modo coerente con ciò in cui crediamo e con ciò che siamo. Essere sconfitti, in fondo, non è un dramma, anche quando l’avversario è lo spettro di una società sempre più lontana da ogni principio di sana umanità. Il vero dramma è perdere di vista sé stessi e lasciarsi trascinare lontano da ciò che siamo realmente.

La canzone unisce al suo interno letteratura e musica per dare vita a un’esperienza narrativa intensa ed immersiva. Com’è nata quest’idea?

Non ho mai amato l’immagine dello scrittore chiuso nella torre d’avorio dei salottini culturali. Così, fin dalla pubblicazione del mio primo libro, mi è venuto spontaneo cercare di dare voce alle mie storie attraverso spettacoli di vario tipo spesso organizzati nei luoghi più imprevedibili.

Una decina d’anni fa poi, in un periodo in cui stavo lavorando molto sul raccontare le mie storie in questo modo, mi è venuta voglia di provare a lasciare una traccia permanente di quell’aspetto del mio percorso, così ho contattato Miky Marrocco e insieme a lui abbiamo realizzato quello che è stato il mio primo album, Ogni sorso un ricordo.

Negli ultimi anni, a dire il vero, per svariate ragioni, avevo quasi del tutto abbandonato ciò che riguarda il dare corpo e voce alle mie parole per concentrarmi su una scrittura più “tradizionale”. Però verso la fine dell’estate scorsa mi sono reso conto di avere una gran voglia di raccontare una serie di storie e di pensieri che si prestavano a una narrazione estremamente diretta ed evocativa più che a un romanzo.

Così è nata l’idea di realizzare un nuovo album che uscirà prossimamente e di cui Poi il tempo rappresenta un primo assaggio.

Roberto Bonfanti

Il tuo stile musicale si unisce a quello di Max Zanotti, voce di Deasonika, Casablanca e The Elephant Man. Come mai hai deciso di collaborare proprio con lui?

Sono fan di Max Zanotti fin dai suoi esordi. Venticinque anni fa, praticamente per caso, mi capitò fra le mani un demo dei Deasonika. Che all’epoca non avevano ancora inciso nemmeno il loro primo album, e per me fu un’autentica folgorazione.

Da allora ho sempre seguito Max Zanotti in tutti i suoi vari progetti. E non ho mai smesso di amare il suo approccio musicale e poetico. Così, quando ho iniziato a elaborare dentro di me l’idea di realizzare un nuovo album. Uno dei primi pensieri è stato che mi sarebbe piaciuto tantissimo potere avere lui al mio fianco. Ho provato a proporgli l’idea e lui si è subito gettato nel progetto con un entusiasmo incredibile.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Come accennavo, Poi il tempo rappresenta il primo singolo estratto da un nuovo album. Nato dall’unione fra la mia voce, le mie parole e le musiche composte e prodotte da Max Zanotti. Il disco uscirà nel corso di questa primavera ed è qualcosa a cui tengo moltissimo. Dunque spero che questo progetto possa tenermi occupato abbastanza a lungo.


Segui Roberto Bonfanti su
FacebookInstagram